sabato 29 giugno 2013

Carlomagno re dei Franchi imperatore romano

Carlomagno re dei Franchi imperatore romano. - Figlio primogenito (n. 742 - m. Aquisgrana 814) di Pipino il Breve, re dei Franchi, e di Bertrada; alla morte del padre (768) ebbe l'Austrasia e la Neustria al nord de l'Oise, e l'Aquitania in comune col fratello minore Carlomanno re della Neustria a S dell'Oise, della Borgogna, ecc.; alla morte di Carlomanno (771), invase i suoi stati e nello stesso anno ripudiò la moglie, figlia di Desiderio re dei Longobardi, di nome forse Desiderata (v. Ermengarda). Desiderio allora accolse nella sua corte la vedova e i partigiani di Carlomanno. Carlomagno, sollecitato dal papa Adriano I, impose a Desiderio di abbandonare al papa le terre che aveva occupato nell'esarcato e nel ducato romano; avuto un rifiuto, attraversò (773) le Alpi col suo esercito, per i passi del Cenisio e del S. Bernardo, superò per aggiramento la chiusa di Val di Susa, s'impossessò di tutta l'Italia settentrionale e, occupata Pavia (774), si intitolò re dei Franchi e dei Longobardi. Ritornò (776) per reprimere la cospirazione dei duchi longobardi del Friuli, di Chiusi, Spoleto e Benevento; poi (780-781) per far consacrare dal pontefice, come re d'Italia, il figlio Carlomanno che fu ribattezzato col nome di Pipino. Contro i musulmani di Spagna condusse in questi anni una serie di spedizioni: quella del 778, dopo il fallimento dell'assedio di Saragozza, si concluse con il massacro della retroguardia franca al passo di Roncisvalle. Miglior successo ebbero le spedizioni del 785, 797, 801, 811, che permisero la creazione della Marca hispanica, fra i Pirenei e l'Ebro, con capitale Barcellona, primo nucleo della riconquista cristiana della Spagna. Inoltre ad est, in trent'anni di guerre (772-804), riuscì a occupare le terre dei Sassoni, minacciosi per le loro incursioni continue: violenta fu particolarmente la guerra contro il capo sassone Vitichindo (778-785). La lotta per la sistemazione del confine orientale ebbe anche altri sviluppi: contro i Bavari e il loro duca Tassilone che, vinto nel 787, lasciò il paese in potestà di C.; e, dalla Baviera, contro gli Avari, di cui con una serie di spedizioni (791-96) distrusse l'impero. Affermato così il suo dominio dall'Elba all'Atlantico, al Tibisco, al Danubio, all'Ebro, a Roma, apparve egli allora il vero e solo capo della cristianità. Questa sua posizione, corroborata dalla sua attività nel campo religioso, come difensore e propagatore della fede, e nel campo della cultura (che conobbe una vera rinascita, detta appunto carolina), ebbe la piena consacrazione ufficiale nel Natale dell'anno 800, a Roma: C. vi si era recato per esaminare le accuse contro papa Leone III, che, cacciato nell'apr. 799 da una congiura di nobili, da C. era già stato rimesso sul trono. Il papa, dopo la messa in S. Pietro, pose il diadema imperiale sul capo di C., che fu acclamato dai presenti, evidentemente già informati, "imperatore". Forse, il fatto che sul trono degli imperatori d'Oriente vi fosse una donna, Irene, che nel 798 aveva destituito il figlio Costantino VI, agevolò il gesto di C. Più che la restaurazione dell'Impero Romano d'Occidente era la creazione del nuovo Impero cristiano, quale lo concepivano gli uomini del Medioevo. L'elemento religioso vi era predominante; infatti più che uno stato vero e proprio, l'Impero era un ideale politico-religioso, che dava dignità e forza di difensore della cristianità al consacrato, strettamente unito perciò nel suo compito al papato. Il carattere dell'Impero, dopo un'offerta di matrimonio inviata da C. all'imperatrice Irene e caduta per la destituzione di quest'ultima, venne poi a determinarsi (802) per le reazioni di Niceforo, nuovo legittimo imperatore col quale veniva a cessare la vacanza imperiale, che era stata il pretesto per l'iniziativa di Leone III. Si venne a un conflitto con l'Impero bizantino, svoltosi nell'Adriatico (805-806) e terminato (812) con un accordo che mentre a Bisanzio lasciava Venezia, l'Istria e la Dalmazia, a C. riconosceva il titolo di imperatore dell'Impero romano-cristiano d'Occidente. C. attese così a riordinare i suoi varî stati con criterî unitarî, dividendoli in circoscrizioni dette contee e, se di confine, marche, mentre, a reprimere ogni abuso, creava le visite periodiche di missi dominici. Riunioni generali o provinciali, dette placiti, ogni anno provvedevano alla legislazione, che si concretò principalmente in un'ottantina di capitolari; oltre a ciò l'opera legislativa di C. comprende la redazione scritta, da lui ordinata dove non vi si fosse già prima provveduto, delle svariate leggi popolari (barbariche) conservate in vigore nelle varie parti del suo impero. ▭ Prode e operoso, resistente alle fatiche e avido di cultura, dotato di eminenti capacità politiche e militari -così la tradizione -, C. apparve agli stessi contemporanei come il degno capo della società occidentale, romano-germanica e cristiana, onde l'appellativo di Magno e le leggende che lo fissarono nella poesia e nell'agiografia. ▭ C. si sposò cinque volte: con la franca Imiltrude, da cui ebbe Pipino il Gobbo (m. 811); con la longobarda Desiderata (Ermengarda) nel 770; poi con la sveva Ildegarda (m. 783), da cui ebbe Carlo, Pipino, Ludovico, Lotario (m. 779), Adelaide, Rotruda, Berta, Gisela e un'altra figlia; con la franca austrasica Fastrada, da cui ebbe Teoderada e Iltrude; con la sveva Liutgarda. Dalle concubine ebbe: da Madelgarda, Rotilde; da Gerwinda, Adaldruda; da Regina, Drogone e Ugo, da Adalinda, Teodorico.

Premio Carlomagno

A C. è stato intitolato un premio (Karlspreis der Stadt Aachen), istituito nel Natale 1949, che la città di Aquisgrana attribuisce annualmente a un uomo politico che abbia meritato dell'unificazione dell'Europa.

Da: Enciclopedia Treccani

venerdì 28 giugno 2013

La nascita dell'impero Romano dopo la morte di Cesare

Ecco a voi un altro video che credo possa esser utile per poter capire come possa esser nato l'Impero Romano.

Non dimentichiamoci di dire che questi video sono solo d'appoggio ai libri che i professori ci danno da studiare per gli esami. Buono studio a tutti

Ottaviano el'Impero Romano

Amici, ecco cosa potrebbe esser utile per l'esame di storia medioevale.
Cercate di trarre da questo filmato i punti chiave.

Buono studio a tutti

martedì 25 giugno 2013

Politica: tutti contro tutti. Ma il lavoro?

Io non so come commentare quanto si sente ai telegiornali, o si scrive nei giornali.
Leggete e commentate pure

lunedì 24 giugno 2013

Archeojobs.com

http://www.archeojobs.com/annunci/detail/ricercatore-tutela-archeologia-e-storia-dellarte-con-impiego-in-iraq-universita-di-udine

FARE e Università

http://www.roars.it/online/fare-e-universita/

venerdì 21 giugno 2013

Pompei: terme Stabiane

Le Terme Stabiane, cosi denominate in quanto poste all'incrocio tra Via dell'Abbondanza e Via Stabiana, furono costruite intorno al IV-III secolo a.C., in una zona che probabilmente si trovava in periferia prima dell'estensione della città ed adibita ad area cimiteriale, come testimoniato dal ritrovamento di una tomba ad ipogeo. L'edificio subì un notevole ampliamento nel II secolo a.C. e continui restauri negli anni successivi, soprattutto nell'epoca imperiale ed a seguito del terremoto del 62; al momento dell'eruzione i lavori di ristrutturazione non erano completati e quindi l'intera struttura non era utilizzata, mentre il periodo intorno all'80 a.C., rappresenta quello di massimo splendore, come descritto da una epigrafe che cosi dice:

« I duoviri con potere giurisdizionale Caius Uulius, figlio di Caius e Publius Aninius, figlio di Caius, appaltarono per decreto dei decurioni la costruzione del sudatorio e del destrictario e la ricostruzione dei portici e della palestra; con quel danaro che, per legge, essi erano destinati a vincolare per i giochi o per un monumento, fecero costruire ed essi collaudarono. »

La struttura si presenta con al centro la palestra porticata a base trapezoidale: le colonne, originariamente dalla forma più esile, furono pesantemente stuccate dopo il sisma del 62. Nella zona orientale sono disposti, divisi per uomini e donne, gli ambienti per il bagno: il frigidarium maschile ha una con cupola ad imitazione del cielo, nicchie sulle pareti e raffigurazioni con soggetti marini ed originariamente doveva servire da calidario in quanto si notano dei vani dove venivano posti i bracieri; quello femminile fu costruito posteriormente al maschile. Seguono poi il tepidarium e calidarium, quello maschile di forma absidata, con vasca dedicata alle abluzioni e decorato con un labrum con getto d'acqua tiepida[4]: in questi ambienti la pavimentazione era sostenuta da piccole pile di mattoni, in modo tale che la zona restasse vuota per permettere all'aria calda di circolare e di raggiungere alle stesso modo le intercapedini poste lungo i muri. Le terme erano dotate anche di spogliatoio, quello maschile decorato con amorini, trofei d'armi e figure del tiaso bacchico, e una sala per le fornaci, utilizzate per produrre calore; l'intera area femminile non aveva alcun collegamento con la palestra che era riservata esclusivamente agli uomini.

Nella parte nord è ubicata una latrina, mentre nella zona occidentale è la piscina, contornata da due vasche più piccole utilizzate dagli atleti per lavarsi e detergesi: a dividere la zona della natatio dal resto della palestra un basso muretto interamente stuccato. Nelle vicinanze della piscina si aprono piccole stanze probabilmente riservate ai giovani, mentre altre avevano diverse funzionalità, come una, finemente decorata, utilizzata dal sovrintendente delle terme e un'altra invece utilizzata come sferisterio, ossia per giochi con la palla. La maggior parte delle decorazioni si sono conservate all'ingresso, costituito da colonne e portali in tufo e nella palestra: si tratta di stucchi in quarto stile, realizzati in calce e calcite, in quanto più resistenti all'umidità; le principali decorazioni del portico raffigurano Giove seduto con in mano uno scettro, Dedalo che forgia le ali per Icaro ed Hylas con le ninfe.

Roma: c.d. «Ara di Domizio Enbaro»

La cosiddetta Ara di Domizio Enobarbo è un'opera della scultura romana tardo repubblicana conservata in quattro lastre conservate in parte al Louvre di Parigi e in parte alla Gliptoteca di Monaco.

Le lastre a bassorilievo provengono dal tempio di Marte (o di Nettuno) situato sotto la chiesa di San Salvatore in Campo presso il Circo Flaminio, e componevano una base per statue lunga metri 5,65 x 1,75 e alta 78 centimetri. Secondo Plinio il vecchio vi erano poggiate le sculture di Nettuno, Anfitrite, Achille e le Nereidi, copia da Skopas. L'opera è databile al 113 a.C.

L'ara è uno dei migliori esempi di arte eclettica romana dopo la conquista della Grecia e la massiccia influenza dell'ellenismo nel mondo dell'arte e della cultura romano. È databile in un'epoca di poco anteriore alla riforma di Mario dell'esercito (107 a.C.), come confermano anche i particolari iconografici (la toga corta o la tipologia delle armature dei soldati).

La base ha pilastrini agli angoli e su tre lati ha un thiasos (corteo che celebra il culto di un dio) che partecipa alle nozze tra Nettuno e Anfitrite, seduti su un carro trainato da tritoni ed accompagnati da pistrici, tritoni e nereidi (a Monaco). Questa raffigurazione rientra nella tradizione ellenistica e neoattica, con confronti possibili con molte opere coeve. I volti, la muscolatura studiata, i panneggi curati, il movimento disinvolto e le posizioni scelte riecheggiano famose opere d'arte ellenistiche.

Il quarto lato (conservato a Parigi) è invece diverso per stile e per soggetto, con la celebrazione, attraverso precise allusioni, di un intero lustrum censorio, cioè della cerimonia con la quale i censori, alla fine della loro carica quinquennale, celebravano un sacrificio espiatorio per tutta la popolazione. Questa raffigurazione ricade, a differenza del thiasos, nella concezione narrativa e didascalica dei romani, che comunque non era una narrazione "veristica", ma verosimile e con intenti di raffigurare simbolicamente un avvenimento.

La differenza di stile era anche causata dai diversi modelli ai quali si ispiravano gli artefici: per il thiasos esisteva la secolare tradizione ellenistica, mentre per il lustrum si trattava probabilmente di una delle prime raffigurazioni ufficiali di questo tema, almeno su bassorilievo (probabilmente fece da modello la pittura trionfale). Nonostante le notevoli differenze però è verosimile che gli autori delle due scene siano i medesimi, come dimostra il confronto dei dettagli e della tecnica scultorea.

Nella scena del lustrum del Louvre sono rappresentate numerose figure ed è descritta con dovizia di dettagli tutta la cerimonia. Il punto focale è sull'ara al centro e in particolar modo sulla figura togata a destra, dove convergono alcune linee di forza come la diagonale degli animali in fila per il sacrificio. Si tratta del censore sacrificante, assistito da tre camilli (due dietro l'altare e uno alle spalle). Dall'altro lato dell'altare si trova la figura in armatura del dio Marte, la divinità onorata dal sacrificio e il protettore del Campo Marzio. Alle spalle del dio si trovano due suonatori.

A sinistra quattro vittimarii accompagnano gli animali sacrificali del suovetaurilia, che si trovano in un ordine insolito (bue, pecora e scrofa invece di scrofa, pecora e bove), forse per un motivo prettamente artistico di convergere l'attenzione dell'osservatore verso il centro tramite la linea ascendente del corteo. Il toro è di dimensioni particolarmente grandi, un espediente espressivo per far risaltare l'entità del sacrificio e quindi la solennità dell'avvenimento, secondo un procedimento ben lontano dall'organicità e il naturalismo della visione artistica greca. Dietro la pecora si trova un personaggio col capo velato e con un vessillo, l'accensus, che secondo le fonti apriva la processione della lustratio censoria. Infine all'estrema destra compaiono tre soldati (uno con cavallo), mentre altri due si trovano a sinistra dei suonatori: si tratta di una precisa allusione al popolo in armi e forse addirittura raffigura le cinque classes del censo dell'esercito romano.

All'estrema sinistra si trovano due figure sedute che rappresentano scribi. La prima figura, uno iurator, registra sulle tabulae censorie la dichiarazione di un cittadino che ha in mano un dittico, forse contenente le prove della veridicità della sua dichiarazione; il secondo si rivolge a un togato in piedi e gli posa una mano sul braccio che indica il vicino soldato, che guarda l'accaduto: si tratta dell'attribuzione alla classe, alla tribù e al compito militare di un cittadino, mentre la scena più a destra è la dichiarazione che il cittadino è idoneo alle armi.

La scena quindi racchiude vari momenti diversi (dalle dichiarazioni agli scribi, all'apparsa del porta-vessillo, alla cerimonia vera e propria), trattati come fuori dal tempo e ben significativi di ogni singolo atto saliente del lustrum. I personaggi hanno pose studiate, in maniera da essere identificabili inequivocabilmente e il loro accostamento è paratattico, cioè realizzato con la semplice collocazione schematica di figure per lo più frontali una accanto all'altra.

Roma: ritratto di Pompeo

POMPEO MAGNO (Cnaeus Pompeius Magnus). - Triumviro, nato il 30 settembre 106, morto il 28 settembre 48 a. C.

A 17 anni partecipò col padre, il console Gn. Pompeo Strabone, alla guerra sociale, dalla parte di Silla, contro Mario e Cinna. Nell'81 trionfò a Roma ed ebbe il titolo di Magnus. Dal 76 al 71 tenne l'impero proconsolare in Ispagna. Console nel 70, nel 67 ebbe un comando straordinario contro i pirati e nel 66 il controllo triennale delle province orientali. Dopo aver vinto Mitridate VI e sottomesso la Siria e la Palestina (64-63), ritornò a Roma trionfando nel 62. Con Cesare e Crasso, costituì il primo triumvirato (60). Ottenuto il comando delle forze repubblicane e trasferitosi in Grecia (49), P. si scontrò con Cesare, che sconfisse a Durazzo. Ma, gravemente battuto a sua volta in una battaglia navale presso Farsalo (48), dovette riparare in Egitto, dove venne assassinato. Sposò Giulia e Cornelia; suoi figli: Gneo e Sesto (v.).

Plutarco (Pomp., 2) ricorda quali caratteristiche della fisionomia di P. l'espressione cangiante del volto ed una ciocca di capelli ribelle (ἀναστολή) per la quale P. pretendeva somigliare ad Alessandro Magno; Velleio Patercolo (ii, 2) rammenta la sua bellezza dovuta alla nobiltà di espressione; Plinio il Vecchio (Nat. hist., xxxviii, 4) l'aspetto imponente del volto, del quale Seneca (Ep., ii, 3) rammenta il facile arrossire. Malgrado la sua incomprensione dell'arte (Cic., De imp. Cn. Pomp., 17) P. dev'essersi compiaciuto di farsi ritrarre: nel suo trionfo asiatico veniva portato un suo ritratto eseguito con perle (Appian., Bel. Civ., I, 99). Statue di P. su colonne vennero abbattute dai Cesariani dopo la battaglia di Farsalo e parzialmente ricollocate da Cesare stesso. Una di queste, presso i Rostri, faceva contrappunto a quella di Silla (Cass. Dio, 43, 49 e passim), un'altra era equestre (Vell. Pat., ii, 61): la più nota era quella dedicata nella Curia presso il Teatro di Pompeo, in ringraziamento per l'abbellimento della città (Plut., Brut., 14). Altre statue erano state dedicate a P. probabilmente fin dal 61 a. C. a Mitilene.

Il ritratto di P. appare in tipi monetali relativi alle seguenti serie, tutte postume: a) rovescio di denari coniati dal figlio maggiore Gneo Pompeo in Ispagna (46-45); b) diritto di assi coniati dal figlio minore Sesto Pompeo in Ispagna (45-44); c) rovescio di denari ed aurei coniati dallo stesso in Sicilia (42-38); d) rovesci di denari coniati da Q. Nasidio in Sicilia (38-36). Mentre le effigi delle monete spagnole esprimono una spiccata intonazione patetica, propria del barocco ellenistico, in quelle siciliane i caratteri fisionomici sono improntati di un volgare realismo; gli archetipi, tutti riferibili all'età matura di P., sono difficilmente anteriori al 60 a. C.

Nei ritratti scultorei rimastici appaiono due redazioni distinte, risalenti probabilmente ad archetipi coevi: si possono riconoscere: a) un tipo riferibile agli anni intorno al 61; una replica claudia molto restaurata (Venezia, Museo Archeologico) ed un'altra, probabilmente domizianea, falsata dai copiosi restauri moderni (Firenze, Uffizî). In questo tipo, raffigurante P. quarantenne (dovette probabilmente corrispondervi la statua presso i Rostri), il rendimento fisionomico ha carattere realistico, secondo la linea di sviluppo della tradizione italica, mentre l'influsso del barocco ellenistico si riduce a motivi anteriori, quali il dinamismo della capigliatura e il piegamento laterale del capo, che riflette la intenzione di assimilare P. ad Alessandro.

Una replica d'età imperiale di questo tipo, malamente conservata, è una testa del Museo Torlonia.

b) un tipo che concorda iconograficamente con le monete siciliane, rappresentato da una testa (su busto moderno) dal Sepolcro dei Licini presso Porta Salaria a Roma (già Collezione Tyszkiewicz, ora a Copenaghen, Gliptoteca Ny Carlsberg). La sapientissima tecnica, che conferisce una particolare levigatezza alla superficie del volto e tratta la capigliatura a traforo, fa riconoscere in questo ritratto una replica del tempo adrianèo (cfr. l'ammirazione di Adriano per P., Cass. Dio, 69, ii; Vita Hadr., 14, 4) strettamente aderente ad un archetipo costruito con robusto criterio plastico e limpida chiarezza di forme, non senza un fine senso pittorico nel trattamento delle superfici: caratteri che ne pongono la datazione al periodo 6o-5o a. C. L'ipotesi del Klein, che la testa Ny Carlsberg sia opera dello scultore Pasiteles, attivo a Roma al tempo di P. non poggia sopra alcun serio fondamento. Forse l'archetipo si deve identificare con la statua di P. che stava nella Curia, da cui derivano verisimilmente anche le effigi dei conî siciliani. Fra i ritratti erroneamente ritenuti di P. sono la statua colossale in nudità eroica con testa moderna (Roma, Palazzo Spada) trovata nel sec. XVI presso il Teatro di Pompeo; un ritratto virile del tempo del secondo triumvirato (Napoli, Louvre) ed un busto di personaggio del tempo adrianeo (Museo Vaticano). L'effigie di P. appare ancora, in un tipo affine a quello delle monete spagnole, in un'acquamarina della Collezione Devonshire.

Le fonti ricordano diverse statue e ritratti di Pompeo , tra cui la statua eretta nella curia romana. Da essi derivano le figurazioni monetali, coniate tutte dopo la sua morte, e alcuni ritratti in marmo di età imperiale (Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek; Venezia, Museo Archeologico, ecc.), caratterizzati dalla ciocca ribelle di capelli e dalla felice fusione tra la solida impalcatura del volto e il chiaroscuro di tradizione ellenistica.

Roma, basilica Emilia: Fregio «storico»

La datazione dell'opera è stata molto controversa, oscillando tra l'età cesariana, augustea, tiberiana o anche flavia. Le opzioni relative ai periodi più tardi sono però scartabili sulla base di elementi stilistici, rendendo verosimile un arco di tempo tra il II e il I secolo a.C. Il retro del fregio presenta i segni di pesanti riadattamenti (taglio dello spessore per ridurlo al minimo), quindi è verosimile che si trovasse in un edificio più antico, in seguito riciclato su una nuova fabbrica. Inoltre il materiale con cui è stato scolpito è il marmo pentelico greco, diverso da quello usato nel resto dell'edificio e nell'altro fregio, che sono realizzati nello stesso materiale di altri edifici romani databili alla seconda metà del I secolo a.C. (tempio di Saturno di Planco, Regia di Calvino, Arco partico). Il presente fregio dovette quindi risalire alla ricostruzione dell'87-78 a.C., che interessò innanzitutto gli interni. La moneta di Marco Emilio Lepido (65 a.C. circa) raffigura infatti l'interno della basilica coi clipei al primo piano aggiunti dal padre. Inoltre i denarii di Lucio Tiberio Sabino (87 a.C.) raffigurano i temi del ratto delle Sabine e della punizione di Tarpea con notevoli affinità iconografiche a quelle del fregio, considerabili gli uni il riflesso dell'altro. Il fregio venne riutilizzato nella ricostruzione di epoca augustea tra il 54 e il 34 a.C. (basilica Paulli), quando dovette essere smontato e riadattato alla nuova dimensione del fregio.

Il fregio storico si trovava all'interno dell'edificio dove decorava il primo ordine, mentre il secondo presentava motivi vegetali soltanto. Ne sono stati ricomposti circa 16 metri a partire da innumerevoli frammenti, mentre la grandezza totale doveva aggirarsi sui 90 metri di lunghezza per 60 centimetri di altezza. Comprendeva varie lastre con episodi delle origini di Roma. Tra quelle individuate ci sono:

Gioventù di Romolo e Remo

Fondazione di Roma

Istituzione dei Consualia da parte di Romolo

Ratto delle Sabine

Punizione di Tarpea Nozze di Romolo (?)

Fondazione di una colonia (forse Cameria)

Tra le scene meglio conservate spicca quella della Punizione di Tarpea, la donna che aveva aperto le porte del Campidoglio ai Sabini per poi venire da essi lapidata da un cumulo di armi. L'eroina è raffigurata al centro, col manto increspato dal vento che forma una sorta di disco tenuto dalle sue braccia spalancate, mentre subisce la lapidazione con gli scudi e i bracciali promessile dai Sabini in cambio del tradimento. Il tumulo le arriva fino alla vita e tre soldati Sabini sono attorno nell'atto di gettare altro materiale o di portarlo. All'estrema sinistra un soldato barbuto assiste alla scena con un piede poggiato su un'asperità del terreno, vestito di corazza e un ampio mantello.

La scena di Tarpea, come le altre, è costruita all'insegna di un'immediata leggibilità, con una narrazione esplicita, senza stacchi netti tra gli elementi della scena e lo sfondo neutro (costruzione "paratattica"), grazie anche a numerosi dettagli paesistici e ambientali. La rappresentazione è da mettere in relazione da un lato con la pittura storico-onoraria di tradizione romana e, dall'altro lato, con l'ispirazione consapevole dall'ellenismo asiano del II secolo a.C., in particolare al fregio dell'Artemision di Magnesia, il cui architetto, Ermogene di Priene, ebbe notevole influenza sulla cultura artistica romana.

Ercolano, casa «Sannitica»

La Casa Sannitica è tra le più antiche dimore di Ercolano e conserva ancora in parte il suo aspetto originario, risalente agli ultimi decenni del II secolo a.C.. La facciata è preceduta da un marciapiedi eseguito molto accuratamente; l'elegante portale con i piedritti in blocchi di tufo sovrastati da capitelli corinzi dà accesso alla fauce, con decorazione di primo stile (bugnato in stucco policromo ad imitazione del marmo). Interessantissimo è l'atrio, nella cui parte alta è un elegante loggiato di colonnine ioniche i cui intercolunni sono chiusi da una graziosa transenna marmorea rivestita di stucco. Vi si possono anche vedere alcuni oggetti rinvenuti nella casa, come una statuetta frammentaria di Venere e parte dei piedi d'un tavolo in legno, a forma di cani. Gli ambienti del pianterreno mostrano, con la loro fine decorazione, l'originario carattere signorile della casa. Per quanto riguarda il piano superiore, invece, si vede chiaramente che in un secondo tempo vi furono ricavati piccoli appartamenti d'affitto, resi indipendenti grazie ad una ripida scala di legno. La casa originariamente possedeva un giardino, in seguito ceduto all'attigua Casa del Gran Portale.

Parte dell'insula V, che racchiude un insieme vario di tipologie di edifici, è un notevole e caratteristico esempio di residenza della `media borghesia' ercolanense: l'atrio è cinto in alto da un finto loggiato a semicolonne ioniche e transenna a graticcio. Assai elaborata è la decorazione in primo stile delle pareti del vestibolo, dove la policromia imita marmi rari e corrono preziose cornici a dentelli in stucco; è questo un documento importante del mutamento del gusto romano e italico nella prima metà del sec. II a.C., quando, per il maggior lusso, si cominciano ad affrescare anche le residenze private. L'adiacente casa del Gran Portale fu ricavata in età imperiale da parte della vicina Casa sannitica: la distribuzione planimetrica verte sul vestibolo coperto, sul quale affacciano i vani (nell'esedra di sinistra del triclinio, il fregio simula alcune tende aperte su giardini punteggiati di amorini).

Parte dell'insula V, che racchiude un insieme vario di tipologie di edifici, è un notevole e caratteristico esempio di residenza della `media borghesia' ercolanense: l'atrio è cinto in alto da un finto loggiato a semicolonne ioniche e transenna a graticcio. Assai elaborata è la decorazione in primo stile delle pareti del vestibolo, dove la policromia imita marmi rari e corrono preziose cornici a dentelli in stucco; è questo un documento importante del mutamento del gusto romano e italico nella prima metà del sec. II a.C., quando, per il maggior lusso, si cominciano ad affrescare anche le residenze private. L'adiacente casa del Gran Portale fu ricavata in età imperiale da parte della vicina Casa sannitica: la distribuzione planimetrica verte sul vestibolo coperto, sul quale affacciano i vani (nell'esedra di sinistra del triclinio, il fregio simula alcune tende aperte su giardini punteggiati di amorini). Parte dell'insula V, che racchiude un insieme vario di tipologie di edifici, è un notevole e caratteristico esempio di residenza della `media borghesia' ercolanense: l'atrio è cinto in alto da un finto loggiato a semicolonne ioniche e transenna a graticcio. Assai elaborata è la decorazione in primo stile delle pareti del vestibolo, dove la policromia imita marmi rari e corrono preziose cornici a dentelli in stucco; è questo un documento importante del mutamento del gusto romano e italico nella prima metà del sec. II a.C., quando, per il maggior lusso, si cominciano ad affrescare anche le residenze private. L'adiacente casa del Gran Portale fu ricavata in età imperiale da parte della vicina Casa sannitica: la distribuzione planimetrica verte sul vestibolo coperto, sul quale affacciano i vani (nell'esedra di sinistra del triclinio, il fregio simula alcune tende aperte su giardini punteggiati di amorini).

Parte dell'insula V, che racchiude un insieme vario di tipologie di edifici, è un notevole e caratteristico esempio di residenza della `media borghesia' ercolanense: l'atrio è cinto in alto da un finto loggiato a semicolonne ioniche e transenna a graticcio. Assai elaborata è la decorazione in primo stile delle pareti del vestibolo, dove la policromia imita marmi rari e corrono preziose cornici a dentelli in stucco; è questo un documento importante del mutamento del gusto romano e italico nella prima metà del sec. II a.C., quando, per il maggior lusso, si cominciano ad affrescare anche le residenze private. L'adiacente casa del Gran Portale fu ricavata in età imperiale da parte della vicina Casa sannitica: la distribuzione planimetrica verte sul vestibolo coperto, sul quale affacciano i vani (nell'esedra di sinistra del triclinio, il fregio simula alcune tende aperte su giardini punteggiati di amorini). Parte dell'insula V, che racchiude un insieme vario di tipologie di edifici, è un notevole e caratteristico esempio di residenza della `media borghesia' ercolanense: l'atrio è cinto in alto da un finto loggiato a semicolonne ioniche e transenna a graticcio. Assai elaborata è la decorazione in primo stile delle pareti del vestibolo, dove la policromia imita marmi rari e corrono preziose cornici a dentelli in stucco; è questo un documento importante del mutamento del gusto romano e italico nella prima metà del sec. II a.C., quando, per il maggior lusso, si cominciano ad affrescare anche le residenze private. L'adiacente casa del Gran Portale fu ricavata in età imperiale da parte della vicina Casa sannitica: la distribuzione planimetrica verte sul vestibolo coperto, sul quale affacciano i vani (nell'esedra di sinistra del triclinio, il fregio simula alcune tende aperte su giardini punteggiati di amorini).

Pompei, villa dei Misteri: cubicolo

La Villa dei Misteri, chiamata in un primo momento Villa Item, fu portata alla luce tra il 1909 e il 1910 grazie ad uno scavo condotto dalla stesso proprietario del terreno nel quale si trovava; un'indagine più approfondita venne svolta tra il 1929 e il 1930, in seguito all'esproprio imposto dallo Stato Italiano. Nel 1931 furono rese pubbliche alcune tavole a colori che rappresentavano gli affreschi della villa, ad opera dell'archeologo Amedeo Maiuri: ad oggi lo scavo non è stato ancora completato, anche se la piccola parte di costruzione che manca, secondo gli archeologi, non contiene elementi di valore. Durante lo scavo non furono ritrovati oggetti di particolare interesse e soprattutto la zona d'otium apparve quasi priva di suppellettili, segno che la villa era in ristrutturazione; reperti invece furono ritrovati nella parte rustica: nella villa fu inoltre rinvenuta la statua di Livia in abiti da sacerdotessa, oggi conservata all'Antiquarium di Pompei e vennero alla luce anche numerosi resti umani. La villa fu costruita nel II secolo a.C. ed ebbe il periodo di massimo splendore durante l'età augustea: nel corso del suo sviluppo fu notevolmente ampliata ed abbellita. Si trattava originariamente di una villa d'otium dotata di ampie sale e giardini pensili, in una posizione panoramica, a pochi passi dal mare, ma in seguito al terremoto del 62 d.C. cadde in rovina, così come il resto della città, e fu trasformata in villa rustica con l'aggiunta di diversi ambienti ed attrezzi agricoli come torchi per la spremitura dell'uva: la costruzione fu infatti adibita alla produzione e alla vendita del vino. Della villa non si conosce il proprietario, ma solo il nome del custode che l'ha abitata durante l'età augustea, Lucio Istacidio Zosimo, come testimoniato da un sigillo.

La villa è a pianta quadrata e si trova su una collinetta dalla quale si godeva una meravigliosa vista sull'odierno golfo di Napoli; poggia in parte su un terrapieno ed in parte è sostenuta da un criptoportico, formato da arcate cieche ed utilizzato come deposito. L'ingresso principale, in parte ancora da scavare, si trova lungo una via secondaria che forse si collegava alla via delle Tombe; nella zona dell'ingresso è posto il quartiere rustico e servile con diversi ambienti adibiti a panificio, cucine, forno, torchio con il tronco a testa d'ariete e cella per i vini. Superato un piccolo ingresso, quattro stanze che rappresentano il cuore della zona signorile: si tratta del peristilio a sedici colonne, costruito tra il 90 e il 70 a.C., l'atrio maggiore, senza colonne e decorato con paesaggi nilotici, il tablino ed una veranda absidata con vista mare, creata nel I secolo, da cui oggi si entra. Ai lati di queste stanze si sviluppano vari altri ambienti, come cubicola, che nel corso dei lavori di ampliamento della villa hanno perso la decorazione in secondo stile per passare a quella in terzo stile, il triclinio del grande fregio ed il quartiere termale, dismesso dopo il terremoto del 62 e utilizzato come deposito e come scala per l'accesso al piano superiore, il quale affacciava sul peristilio e accoglieva le stanze utilizzate dalla servitù. Le decorazioni parietali si differenziano a seconda del periodo storico durante le quali sono state realizzate: il tablino è affrescato con pareti nere e decorazioni in stile egittizzante, tipiche del terzo e quarto stile, mentre altri affreschi in secondo stile furono mantenuti anche durante gli ampliamenti, come in un cubicolo, dove sono rappresentate scene del mito di Dioniso ed nel triclinio dove si raggiunge uno nei massimi esempi di questo stile.

i tratta di una raffigurazione del I secolo a.C., opera di un artista anonimo del luogo, che ha lavorato su tutte le pareti dell'ambiente, dipingendo personaggi a grandezza naturale, con una tecnica chiamata megalographia, ispirata fortemente alla pittura greca. Ancora incerto è il soggetto e il significato dell'affresco: si tratta di una serie di sequenze, dieci per l'esattezza, che potrebbero raffigurare uno spettacolo di mimi o i preparativi per un matrimonio oppure momenti di un rito: secondo alcuni studiosi, tale rito potrebbe essere quello dell'iniziazione di una sposa al dio Dioniso. Partendo da nord la prima scena raffigura una donna che si acconcia i capelli, circondata da amorini che reggono degli specchi; segue una figura seduta su di un trono, secondo alcuni la matrona che controlla le fasi del rito, secondo altri l'iniziata che ripensa alla tappe effettuate durante il rito; la terza scena è quella della catechesi dove a sinistra è affrescata la sposa con il velo in testa, al centro una sacerdotessa con ai piedi un fanciullo che legge testi sacri e alla destra la sposa che porta tra le mani i testi sacri; segue la scena dell'agape: una sacerdotessa seduta di spalle versa del vino su di un ramo di mirto, attorniata da due assistenti e da un sileno che suona la lira; la quinta scena raffigura una satiressa che allatta un capretto, accompagnata da un satiro che suona il flauto e con la sposa che spaventata dalla situazione cerca di proteggersi avvolgendosi in un mantello; viene poi raffigurata la catottromanzia ossia la divinazione attraverso lo specchio rappresentato da un sileno, che in questo caso funge da sacerdote, che porge ad un giovane una coppa nella quale si specchia; la scena di Dioniso e Arianna è la più rovinata della serie e raffigura Dioniso tra le braccia di Arianna; l'ottavo affresco è quello del linkenon e phallos, dove la giovane inizianda è scalza ed è ricoperta per metà da un mantello, nell'atto di scoprire il fallo del dio Dioniso, simbolo di fertilità; la penultima sequenza è la flagellazione: l'iniziata è raffigurata in ginocchio, poggiata sulle gambe di un'amica, con la schiena nuda, mentre viene frustata da Telete, figlia di Dioniso e Nicea; la decima e ultima scena, rappresenta la fine del ciclo, con l'iniziata che danza, accompagnata da una ministra del culto, suonando dei cimbali che ha tra le mani.

Roma: foro di Cesare

Il Foro di Cesare fu il primo dei Fori Imperiali di Roma ad essere realizzato, con lo scopo di ampliare gli spazi del centro politico, amministrativo e religioso della città della tradizionale piazza pubblica del Foro Romano e contemporaneamente di celebrare il personaggio che ne aveva voluto la costruzione, Giulio Cesare.

Fu una delle pochissime opere del programma urbanistico di Cesare che egli poté inaugurare nel 46 a.C., prima della sua morte. Il complesso non doveva tuttavia essere del tutto completato e altri lavori sono testimoniati anche sotto il principato di Augusto.

L'area sulla quale in seguito sorse il complesso era stata utilizzata, in epoca precedente alla data tradizionale di fondazione della città (XII-XI secolo a.C.) come necropoli, come testimoniano le tombe a pozzetto rinvenute negli ultimi scavi. Nell'ambito della città repubblicana vi erano sorti numerosi edifici per lo più privati, di cui sono stati rinvenuti solo labili resti (un pozzo del VI secolo a.C. con resti di intonaci e dipinti riferibili ad una domus tardo repubblicana).

Da una lettera di Cicerone all'amico Attico, siamo informati che già nel 54 a.C. egli era stato incaricato da Cesare di acquistare terreni in un'area adiacente al Foro romano per la realizzazione di una piazza, la cui area doveva arrivare fino all'edificio pubblico dell' Atrium Libertatis. Solo l'acquisto dei terreni venne a costare la cifra enorme di 60 milioni di sesterzi, ma altre fonti riportano anche una cifra maggiore, pari a circa 100 milioni di sesterzi, forse riferibile a un ulteriore ampliamento del progetto.

I lavori veri e propri dovettero iniziare verso il 51 a.C. e nel 48 a.C., con la vittoria della battaglia di Farsalo, venne decisa la dedica del tempio già previsto a Venere Genitrice, alla quale il dittatore aveva fatto un voto prima della battaglia. L'epiteto della divinità, tradizionalmente riferito all'aspetto della dea come rigeneratrice primaverile della vegetazione, assume un nuovo significato in relazione alla sua qualità di mitica progenitrice della gens Iulia.

La contemporanea ricostruzione della Curia, affidata a Cesare dopo l'incendio del 52 a.C., ne consentì lo spostamento dal tradizionale orientamento rituale secondo i punti cardinali, ad una nuova posizione, con il medesimo orientamento della nuova piazza, di cui diveniva architettonicamente una sorta di dipendenza.

Nel 46 a.C. vi fu l'inaugurazione del tempio e della piazza, che tuttavia doveva essere ancora in parte incompleta e venne terminata solo con nuovi lavori eseguiti ad opera di Augusto, dopo la morte del dittatore.

In seguito all'eliminazione della sella montuosa tra Campidoglio e Quirinale, progettata e iniziata sotto Domiziano e realizzata sotto Traiano per la costruzione del suo nuovo Foro, fu necessaria una ricostruzione del tempio di Venere Genitrice, il cui lato di fondo si era in precedenza addossato al pendio. Per la sistemazione del taglio venne inoltre risistemato un secondo piano di taberne alle spalle del portico occidentale della piazza, affacciate sul clivo Argentario che correva a livello più alto sulle pendici del Campidoglio, e venne realizzato un edificio a pilastri in blocchi di tufo, noto come Basilica Argentaria. L'eliminazione della sella montuosa comportò inoltre la scomparsa dell'Atrium Libertatis, le cui funzioni vennero assunte da una delle absidi della Basilica Ulpia nel nuovo foro traianeo.

Il tempio ricostruito venne inaugurato lo stesso giorno della Colonna di Traiano, il 12 maggio del 113, come ci ha testimoniato un'iscrizione dei "Fasti Ostiensi".

Descrizione: Del Foro di Cesare è oggi visibile oltre metà della superficie originaria del complesso, tagliata in senso longitudinale. In seguito alle vicende degli scavi, i suoi resti sono suddivisi in diverse aree.

L'angolo sud, a diretto contatto con la Curia, è inserito nell'area archeologica del Foro Romano.

Il lato sud-occidentale verso il lato di fondo, per poco più della metà della larghezza complessiva originaria, era stato scavato negli anni trenta e comprendeva gran parte del podio del tempio di Venere Genitrice, con tre delle colonne rialzate insieme alla loro trabeazione (pertinenti al rifacimento traianeo), i resti della Basilica Argentaria (ancora traianea) e un tratto del portico occidentale con le colonne rialzate della ricostruzione dioclezianea e con le retrostanti taberne della fase cesariano-augustea, sormontate da un secondo piano di ambienti di epoca traianea affacciati sul clivo Argentario.

In seguito agli scavi condotti nell'area a partire dal 2000, l'area archeologica si è estesa verso il lato di ingresso sud-orientale, unificando le due aree precedenti (che tuttavia continuano ad avere gestione distinta). È stato rimesso in luce un tratto con pavimentazione in marmi colorati rifatta in epoca dioclezianea e un tratto del colonnato con fusti e capitelli in posizione di caduta.

Foro Olitorio: Templi Repubblicani

data: 260 a.C.; fondazione di Sispita e Ses, 17 a.C.

Luogo: Situato tra il Campidoglio e il Tevere, Roma, travava l'antico mercato delle erbe (Forum Holitorium), nel quale i età repubblicana vennero edificati tre templi, con le facciate rivolte verso il Campidoglio, i cui resti, collegabili a un rifacimento degli inizi del I secolo a.C., sono compresi ai lati e nella struttura della chiesa di San Nicola in Carcere.

Committente: Duilio (fondatore), Tiberio (restauratore) dei primi due templi; A. Attilio Calatino (fondatore), Germanico (restauratore) del 3° tempio.

Descrizione: Appena varcata la porta Carmenta il foro Olitorio si allargava in un vasto piazzale che permetteva un accesso più facile al Grande Teatro di Marcello. Tre templi dell'epoca repubblicana allineati uno di fianco all'altro davano al foro un aspetto più solenne. Quello in alto, quasi contro il Teatro di Marcello, è il tempio di Giano, quello medio è il tempio di Giunone Sospita ed il più piccolo, in basso, il tempio di Spes (della Speranza).

Il tempio di Giano era quello situato sulla destra e il più vicino al Teatro di Marcello. Costruito da Caio Duilio all'epoca della prima guerra punica l'edificio venne restaurato nel 17 da Tiberio. è del tipo periptero sine postico (con colonne su tre lati) 9x6, colonne in tufo rivestite di stucco su basso podio elegantemente sagomato.

Il tempio della Speranza era invece situato alla sinistra, in opposizione al tempio di Giano. Fu anch'esso costruito ai tempi della prima guerra punica da Aulo Atilio Calatino e venne restaurato nel 232 a.C. e nel 17 da Gaio Giulio Cesare Claudiano Germanico. Il tempio era periptero di ordine dorico con sei colonne sul fronte e undici sul lato lungo. Il tempio era fatto di pietra, e le colonne ricoperte di stucco per simulare l'aspetto del marmo. Misurava 25 metri in lunghezza e 11 in larghezza.

Del tempio rimangono sei colonne con architrave inglobate nel fianco sinistro della chiesa.

Il tempio di Giunone Sospita era situato tra il tempio della Speranza e quello di Giano, dove attualmente sorge la chiesa, che si stabilì sulle sue rovine verso la fine del I millennio. Costruito verso il 195 a.C. da Gaio Cornelio Cetego era periptero di ordine ionico con tre file di sei colonne sul lato anteriore, due file di sei colonne sul lato posteriore e undici sul lato lungo. Una gradinata, utilizzata ancora oggi per entrare nella chiesa, conduceva al pronao del tempio. Era il più grande dei tre templi, poiché misurava 30 metri in lunghezza e e 15 metri in larghezza, oltre ad essere stato il più alto (ciò si evince comparando le colonne preservatesi di ognuno dei tre templi).

Del tempio restano il basamento, visitabile all'interno della chiesa, e tre colonne inglobate dalla facciata di cui una priva di capitello. Queste colonne erano ancora visibili al loro stato naturale prima del rifacimento della facciata. Altri resti, come alcune colonne, sono visibili all'interno della chiesa.

giovedì 6 giugno 2013

L'ambiguità degli interventi costituzionali nel Paese di disoccupati e aziende chiuse (da: Corriere della Sera)

Se non si fa un passo avanti sui problemi spunta sempre un comitato di sggi scelto con il bilancio

«Le larghe intese, il governissimo, sono da sempre, anche nei periodi di vacche grasse, il goloso miraggio bi una certa classe dirigenziale nazionale. » ...

Ci sono altri problemi gravi di cui non pare ci si curi nella politica che ormai viene fatta con twitter o con i brontolii gergati borbottati davanti alle giungle dei microfoni. Manca una voce alta e priva di retorica, ...

Continuate a leggere l'articolo, e ditemi come possiamo andare avcanti con una situazione del genere!?!

Il Popoplo Italia può sopravvivere in una situazione di stallo, senza darsi una svegliata, e sempre appoggiarsi a questa classe politica?

sabato 1 giugno 2013

L'università solo per pochi (31.05.2013)

Ieri mi è cadfuto l'occhio su questo articolo di metro (www.metronew.it). È sconvolgente leggere che purtroppo molti giovani non possano accedere all'univerità per un prezzo elevato delle tasse universitarie da pagare. Voi, amici, cosa ne pensate?